[HAIKYUU] Round and around and around and around we go
Fandom: Haikyuu
Genere: erotico, con un po' di fluff moderato qua e là
Personaggi: Iwaizumi Hajime/Oikawa Tooru
Avvertimenti: future fic, lime (circa) (cazzo ma poi esiste ancora il lime in giro o sono decisamente troppo vecchia?), sono chiaramente troppo aro per parlare d'amore romantico. Ho cercato di fare il possibile per circumnavigare l'enorme problema.
Parole: 2316 (DUEMILATRECENTOSEDICI!!!!!)
Note: Per il p0rnfest sulla iwaoi "webcam sex" e per la maritombola col prompt 40 sulle sirene.
Sono un po' commossa. Credevo davvero che non avrei mai più scritto nulla per il resto della vita. Non l'ho fatto per 8 mesi, non ho scritto assolutamente nulla per tutto questo tempo e pensavo di aver perso qualsiasi voglia o motivazione. E magari tutto sommato sarà ancora vero, ma cazzo che bello, ho scritto qualcosa. Mi mancava. T_T E non mi interessa che non sia un capolavoro o il massimo dell'IC o che i miei temi siano sempre gli stessi gira e rigira e dal seminato non si esce e alla fine le mie fic sono sempre così; perché l'ho scritta ed è mia ed è venuta (lol) prima e meglio di quanto mi aspettassi e ne sono anche un bel po' orgogliona. <3 Grazie Iwaoi, siete sempre così servizievoli e accomodanti. Ispirate sempre tante belle cose.
>>Cliccami!<<
Hajime lancia solo uno sguardo alla notifica che appare all’angolo dello schermo. Da una chat che ha lasciato in sospeso da una settimana. Sospira. Con Oikawa.
Ma oggi sarà meglio non assecondarlo. Non ancora, comunque, visto quanto quel tipo diventi insistente appena gli dai un po’ di corda. Non tanta: basta un “ciao”, e poi Oikawa ti infila un gancio nella bocca e ti issa, ti fa salire dove non vuoi andare, e poi ti prende fra le mani per poi fare di te quello che vuole. E, stasera, ‘quello che vuole’ sarà guardarsi un film online insieme. E, onestamente, Hajime – hai di meglio da fare. Tipo tornare con la faccia spiaccicata sul libro, a STUDIARE. Oppure a fare da mangiare. Sono le otto ormai, sarebbe anche ora di mettere qualcosa in pancia. E poi di studiare.
Sospira di nuovo, quando un’altra notifica scoppia con un tintinnio irritante. Giusto, dovrei silenziare tutte le notifiche. Chiuderebbe il quadratino, ma questa volta, assieme ad un “hai lo status settato su online, quindi ci sei. No?”, Hajime vede l’anteprima di una immagine. C’è il viso di Oikawa che sorride, con la mano che occupa metà del frame, e per un momento Hajime scuote la testa, pronto a far sparire la notifica.
E poi la sua mano si ferma.
No, no, no, non pensarci nemmeno.
Ma è da così tanto che Hajime non lo vede. Sì, d’accordo, vivono entrambi nella stessa città, non c’è nulla di drammatico o chiaramente di urgente; e d’accordo, non vedere Oikawa è più un dono che un castigo, specialmente quando Hajime ha da fare. Ha molto da fare. Però…
Lancia un altro sguardo al piccolo viso sotto il suo puntatore.
Che palle, essere debole.
“Iwa-chan!” Tooru cinguetta apparendogli a tutto schermo, con un sorriso largo e in qualche modo quasi dolce.
“Oikawa, hai bisogno di qualcosa?” Si assicura di suonare sbrigativo, come dovrebbe essere.
Certo che no. Oikawa non chiederebbe mai aiuto se ne avesse bisogno, prima di tutto. Al massimo vorrà mostrargli un livido grosso come una casa, o qualche altra testimonianza di battaglia dal campo di pallavolo.
Il sorriso di Tooru si allarga. Hajime non lo trova un buon segno.
“No, no. Mi chiedevo se tu avessi bisogno di qualcosa,” risponde l’altro, piegando la testa mentre si sporge verso lo schermo, a qualche centinaio di metri di distanza.
“Che cazzo significa, se avessi bisogno di qualcuno sicuramente non verrei a chiamare te.”
Crudele ma giusto.
“Non lo so, stavo pensando che è da un po’ che non ci vediamo.”
“Vabbè, è da un mese, che vuoi che sia? Che vuoi, Oikawa? Non hai riscaldamenti, allenamenti, partite, qualcosa?”
Oikawa arriccia le labbra, per poi abbassare lo sguardo. Non come un bambino timido, ma come quella volta in cui finalmente prese abbastanza coglioni fra le mani da dirgli ‘mi piaci’, pure se quella volta non era stata una sorpresa per nessuno. Sicuramente non per Hajime. È sottinteso. C’è tanta gente che gli dice ‘digli che lo ami, digli come ti senti’, ma lo sa. No? E allora perché dovrebbe perdere tempo a dire cose ovvie? Non è nemmeno una questione di imbarazzo o identità maschile da preservare come continua a leggere, è solo che… perché dovrebbe farlo?
Se c’è una cosa che stare con Oikawa non ha cambiato, quella è il suo silenzio.
Col silenzio dice tutto quello che serve, lo dice anche quando non ha bisogno di dire niente. Ad Oikawa il suo silenzio piace, pure. Gli piace, quando arrivano momenti come questo, in cui gli capita di pensare a Hajime e alla sua mancanza di parole o di presenza. Hajime c’è sempre, ma ogni tanto a Tooru piace fare qualcosa per ricordarselo.
E i milioni di ingranaggi nella testa di Hajime si scuotono, piano piano prendono a girare, quando vede l’espressione di Tooru che cambia. E Hajime non è un idiota, gli ci vuole un nanosecondo per capire dove tutto il preambolo stia per parare, e apre la bocca per chiudere tutto prima che accada qualcosa. Perché non ha tempo. Non ne ha voglia. Se abbocca adesso, poi Oikawa lo isserà per ore, occuperà fin troppo del suo tempo e, adesso, il tempo comincia a stringere. Non ce l’ha, per i giochini.
“Non ho quello che mi serve,” dice Oikawa, anticipandolo, con un altro piccolo sorriso, mentre rivolge di nuovo gli occhi color nocciola verso la webcam. “E poi sono appena tornato dall’allenamento, mi sono fatto la doccia, poi sono uscito e mi sono reso conto che ero nudo. Cioè, ovvio, però insomma sono nudo e siccome sono nudo mi sei venuto in mente tu. Collega i puntini e scoprirai perché ti volevo vedere.”
Eccola lì, la motivazione. Hajime prende un lungo, faticoso, estenuante sospiro. Agganciato. Non tanto perché abbia voglia di fare sesso online adesso, e la parte razionale del suo cervello concorda nel dire che sarebbe una pessima idea, come detto e ripetuto. Però Tooru gli ha piantato l’idea nella testa. Hajime sa che aspetto ha Oikawa da nudo. Gli viene in mente adesso, mentre chiude gli occhi. Non gli serve nemmeno vederlo, l’ultima volta che l’hanno fatto la luce era perfetta, col sole che pareva pronto a tuffarsi nel buio. Accarezzava ogni variazione sulla loro pelle con un arancio appena accennato, soffice. E anche l’ultima volta, Oikawa era appena uscito dalla doccia, dopo aver saltato e alzato e corso per ore. Tonico, e ovviamente bellissimo.
Vaffanculo, Oikawa merda. È una storia vecchissima fra loro. Hajime dovrebbe sapere com’è, come evitarla ogni volta. Però… non può fare molto contro il sorriso e gli occhi di Oikawa. Soprattutto quando sa di averlo preso, e soprattutto quando si prepara a prenderlo fra le mani, così. Stasera non riuscirà a farlo letteralmente, ma Hajime sente già le sue dita stringersi attorno a lui.
Guarda in basso – no, sono le proprie mani a toccare con un po’ di esitazione il gonfiore appena accennato fra le sue gambe.
“Vaffancuo, Oikawa merda, ho un sacco di roba da fare,” ribadisce fra i denti, aggrottando le sopracciglia.
“Dai, è una cosa da cinque minuti,” gli dice Oikawa, col sorriso largo e aguzzo, gli occhi che luccicano già per l’eccitazione.
Da bambino aveva sentito parlare delle sirene. Delle creature provenienti dal mare, in teoria così belle da attirare i marinai verso il fondale, per poi mangiarli. Di solito cantavano, ma Hajime non ci crede. Le sirene offrono qualcosa, e sanno cosa il ricevente voglia. Denaro, o cose, o il cuore di altre persone, forse.
Oikawa non offre niente. Insomma, offre compagnia, rassicurazione, la consapevolezza che per quanto Hajime si potrà allontanare, avrà sempre qualcuno che lo conosce. Intimamente, in tutti i modi, con precisione. Qualcuno al quale non deve spiegarsi, perché tanto Oikawa sa già tutto. È semplice. Anche Hajime non se ne è mai staccato. Ogni volta in cui Tooru si ritrovava ferito, o sul punto di essere ferito, era Hajime a tenerlo in piedi, a sostenerlo, ad accettare di ascoltarlo lagnarsi o, qualche volta, piangere.
Ma non c’è niente che Oikawa possa dargli di unico e irripetibile. Non è necessario. Anzi, oltre ad essere inutile spesso Tooru è deleterio.
Però da quando riesce a ricordare, quando si guardava a fianco lì c’era sempre lui, Oikawa. Che fosse per rompere le palle o alzargli una palla immancabilmente perfetta o suggerirgli una risposta giusta o esplorare una casa degli orrori, Oikawa era sempre lì. E Hajime ovviamente lo sa, che nemmeno lui è unico e che Oikawa potrebbe smettere di parlargli in qualsiasi momento per andare a cercare qualcun altro. Però non l’ha mai fatto. Nemmeno Hajime ha mai fatto una cosa simile. Va bene così.
Insomma, Oikawa non sarà una sirena e di sicuro non vuole mangiarlo, o consumarlo, o succhiargli via energia vitale, o qualsiasi cosa facciano le sirene.
Però quando respira così forte, quando lascia andare qualche gemito lento (agonizzante), quando assapora i movimenti della propria mano e quando Hajime può vederlo, la sua voce assomiglia ad un richiamo che Hajime è stato programmato ad ascoltare sopra ogni cosa. Rovinato dalla connessione che può rallentare, o da altri rumori esterni, ma comunque un suono che costringe il suo corpo a mettersi in modo, la sua mente a sintonizzarsi solo su quello che Tooru gli chiede.
Con la mano nelle mutande, le dita dell’altra mano strette sul bordo del tavolo, i pensieri messi in muto e gli occhi fissi sullo sguardo liquido di Tooru, sul rossore del suo viso e la bocca schiusa, Hajime dimentica di maledirsi per esserci cascato l’ennesima volta, per aver ascoltato quel richiamo, per aver agito come il solito imbecille, puntualmente ogni volta che Oikawa gli parla o lo tocca. Non gli toglie gli occhi di dosso mentre la sua mano scandisce il ritmo, non riesce a fissare lo sguardo da nessuna parte che non sia sulle labbra di Oikawa (e si ricorda, com’è avercele attorno, com’è sentirlo succhiare e leccare, ricorda com’è caldo e accogliente). Le orecchie sono tutte per lui e la sua voce – spezzettata e distorta, ma chiara abbastanza da tenerlo agganciato.
“Oikawa.” Lo bisbiglia, con la mano che prende velocità e i brividi che salgono su per la schiena, la tensione che si sovrappone al bisogno. Oikawa non dovrebbe essere in grado di sentirlo, ma comunque fra gli occhi socchiusi lo guarda, si concentra su di lui, come a comando. Come se anche la voce di Hajime fosse diventata un impulso dalla risposta prioritaria nelle complessità del suo sistema.
Hajime lo sa, che Oikawa lo tirerà sempre a secco. Ad ottant’anni Oikawa saprà ancora come farlo incazzare con una sola parola, tanto per cominciare. Lo sanno tutti. Nessuno riesce ad immaginare uno stacco fra questi due. Con tutte le amicizie che Hajime aveva da piccolo, solo Tooru è rimasto. E Hajime forse sarà l’unico in grado di sopportarlo nella sua petulanza, e anche nella sua cattiveria.
Dalle sue labbra scoppia un gemito, e non vuol dire molto. Vuol dire solo che è venuto. Si guarda le mani mentre alle orecchie gli arriva ancora la voce di Oikawa ma scarica della potenza che ha avuto fino a due secondi fa. Non è una rivelazione. È solo sesso, perché Oikawa era annoiato o perché si voleva scaricare; perché Hajime forse ne aveva particolare bisogno. Ma è solo sesso.
Però qualche volta, quando finiscono, un po’ lo sente – qualcosa. Un calore che si fa largo gentilmente fra i visceri, oppure un semplice sollievo. Spesso è solo sesso, non significa mai molto di più. Ma a volte guarda Oikawa e pensa, ‘wow’. Non solo perché quando ansima, con le labbra aperte, la pelle in fiamme (e l’ha fatto lui è tutto merito tuo Hajime guarda come l’hai ridotto ed è tutto merito tuo), gli occhi assenti e persi nel nulla, Oikawa sia molto bello. Non solo perché hanno fatto sesso – wow, sapessi che novità.
È che… boh. È che da quando erano ragazzini fino ad ora, è sempre stato così. C’è sempre stato un lampo di sorpresa nel rendersene conto. Che Oikawa è ancora lì, relativamente vicino; che semplicemente esiste.
“Ti spacco la faccia”, gli dice, afferrando un fazzoletto per fare il possibile. “Ti faccio un culo così.”
Oikawa ansima tutto contento, mugolando mentre assapora le ultime ondate di beatitudine. La sua voce esce morbida, quasi barcollante come quella di un ubriaco.
“Ne avevo bisogno,” gorgoglia, tutto contento e dall’aspetto decisamente più rilassato rispetto a prima.
“Vaffanculo, mi hai fatto fare un casino.”
Oikawa sorride e sghignazza, con il mento appoggiato alla mano.
“Però ne avevi bisogno pure tu, no?”
Hajime gli lancia solo un’occhiata, prima di allargare le braccia e guardare il soffitto.
“Vabbè.” E poi, “mi hai solo fatto perdere tempo,” aggiunge sbirciando l’orologio sul muro. “Cazzo, merda, ti odio.”
“Eh, dai, quanti drammi. Quando devi dare l’esame?”
“Giovedì. Però adesso non mi metterò a studiare, dopo tutta… ‘sta cosa.”
“Allora hai tre giorni, mi pare abbastanza,” Oikawa dice, e quando Hajime lo guarda si sta pulendo a sua volta, forse già sperso in altre faccende, altri piani.
“Ma vai a cagare, il punto è che non puoi fare sempre così!” Hajime sbotta, piantando il pugno sul tavolo. “Sei peggio di un bambino, perché non riesci mai a capire che certe volte no è no?”
Oikawa si ferma un momento, e poi fa spallucce.
“Mi mancavi.”
Vaffanculo. Ho una vita pure io. Dio quanto mi fai incazzare.
“Capisco,” dice Hajime, calmandosi quasi immediatamente.
“Quando prenderai il voto più alto, ti porterò fuori a cena,” Tooru riprende. “Okay?”
A Hajime verrebbe da ridere. Oikawa ci crede. Ci crede, che con tre giorni per studiare mezzo libro, potrebbe davvero prendere il massimo dei voti. Non funziona così. Però è bello che ci creda. Perché lo fa, ci crede – costantemente. Anche quando Hajime sbagliava nella battuta di una delle alzature notoriamente perfette di Oikawa, lui non se la prendeva mai. Preferiva darsi la colpa, piuttosto di credere che Hajime potesse fallire. Preferiva dire che non l’aveva piazzata alta o bassa abbastanza, cose simili.
“Seh. Senti, devo fare da mangiare.”
Tanto stasera di studiare non se ne parlerà più.
“E poi chiacchieriamo?” Chiede Oikawa, con un tono più del tipo ‘ti farò un favore tenendoti compagnia, visto che sì, effettivamente è un po’ anche colpa mia’.
Sospira, Hajime, rassegnato ancora una volta.
“Okay. Tanto, arrivati a questo punto…”
Oikawa sorride, più di prima. Si sistema sulla sedia, in attesa; e se avesse una coda, soltanto adesso starebbe scodinzolando. E non sarebbe la prima volta, ma è chiaro adesso che l’obbiettivo fosse questo dall’inizio – passare un po’ di tempo a parlare, come quando erano bambini al parco e blateravano di insetti e di avventure e dei loro sogni. Il problema è che non è il tipo da dirlo. E Hajime lo capisce benissimo.
Brontola mentre Oikawa ride, veleggiando verso la cucina. Ma l’irritazione già sbollisce, solo un po’.