Titolo: Hanging in a void
Fandom: Hannibal
Personaggi: Will Graham
Genere: introspettivo
Avvertimenti: spoiler (per chi non ha ancora recuperato il finale), missing moment, slice of life
Parole: 746
Note: scritta per la seconda settimana del COW-T estivo, prompt "Altrove". Ho attribuito a Will alcuni tratti e comportamenti dell'Hannibal dei libri (giusto un paio di indizi!) per evidenziare il fatto che, come gli ha detto Hannibal in Red Dragon, sono un po' due lati della stessa medaglia. Sì, so che hanno fatto la stessa cosa con Gideon, ma Abel si comportava come Hopkins!Hannibal perché credeva di essere il Chesapeake Ripper. E insomma, prima che ste note per sta ficcy inutile diventino troppo srs smetto di blaterare XDDDD
L'odore di ruggine e nicotina mischiato ad altri aromi spiacevoli è debole, ma persistente e invasivo. È durato talmente a lungo che tutti gli oggetti lì dentro hanno preso quel particolare odore, e tutti i visitatori e le guardie cercano sempre di non farci caso, ma il ferro ha quella nota pungente e acida che non può fare altro che far storcere il naso.
Will Graham, ormai, non se ne accorge neanche più. L'ha avvertito appena quando l'hanno rinchiuso lì dentro, il sedativo che correva ancora nelle sue vene, le luci e i colori dell'ambiente civile che si trasformavano gradualmente nel cupo e monotono grigio-marrone dell'Istituto Mentale di Baltimora, nelle celle dove ogni tanto si sentono sospiri, risate, conversazioni a senso unico e bisbigli sinistri. Will, in questi mesi, ha preso a rispondere ai richiami solitamente inutili dei compagni di cella, a rispondere con sarcasmo sempre più pesante alle domande e alle provocazioni di chiunque, ha anche iniziato a chiedere di poter leggere dei libri, pur continuando ad intrattenere il pensiero, nell'anticamera del cervello, che il suo caso finalmente potrà essere risolto. Ed è quasi certo che, per risolverlo, bisognerà far rispondere ad Hannibal dei suoi crimini.
Hannibal. Quando il suo nome viene pronunciato da qualcuno - o da se stesso - la sua espressione diventa dura, gli occhi quasi di pietra, il suo corpo si volta verso l'ombra per non guardare, un po' come se avesse paura. In verità, le mani prendono sempre a tremare in modo diverso da quelle di qualcuno che è terrorizzato o sconvolto. Tremano in cerca di qualcosa a cui aggrapparsi, qualcosa da torcere. Il suo nome lo sussurra anche nel sonno, il naso che sembrerebbe captare odore di pelliccia di qualche animale, ma è solo una illusione. Quando ha visto Hannibal l'ultima volta era come se non si fosse ancora svegliato dai suoi incubi, quelli che riecheggiavano del rumore di zoccoli, un suono sordo e pesante.
Le sue labbra sanno di sangue, sono ruvide e secche per quanto le ha morse e per quanto abbia staccato pezzi di pelle, il suo aspetto è terribile rispetto a quando è stato rinchiuso, e come una serpe fa la muta è come se Will stesse cercando di liberarsi del proprio corpo. Si gratta in continuazione, la pelle arrossata e addirittura irritata in più punti, la sua unica spiegazione è che non sa farne a meno. È solo quando vede Alana o Jack Crawford che il bisogno di torturare il proprio corpo smette. La loro presenza è come un lenitivo, ed il cambiamento che portano in lui per quei pochi minuti è radicale. Alana soprattutto si offre sempre di prendere la sua mano fra le sbarre nonostante gli avvertimenti delle guardie, ogni volta Will la guarda e poi guarda le proprie, di mani, bianche e ruvide, e dopo averle parlato di quanto il tempo sembri non scorrere mentre là fuori il mondo gira, semplicemente l'ex-agente Graham si ritira nel suo angolo, sul suo letto, smette di parlare per aggrapparsi a quel momento infinito di benessere che lei gli può portare.
Jack non ha mai smesso di fargli domande da quando l'ha guardato ed ha realizzato che non solo aveva bisogno di aiuto, ma che qualcosa gli avrebbe rosicchiato troppo il cervello se non l'avessero scoperto. Ma tutte quelle domande sono come un brusio alle orecchie di Will, eppure sembrano placarlo, quando alza gli occhi in quelli attenti e costantemente affilati di Jack è un po' come parlare di nuovo a suo padre, quando aveva dei segreti, da ragazzino, e non glielo voleva dire.
Lo sguardo vaga come sempre fin dove può arrivare, a volte preme il viso contro le sbarre solo per farlo spaziare di più, altre volte semplicemente cade sul materasso dalle lenzuola cambiate ogni settimana, lasciandosi cullare dal ricordo dei vecchi sogni, quelli che se prima lo terrorizzavano ora sono come il richiamo di una vecchia compagna. È attraverso quei sogni da sveglio che sente la voce di Abigail, lontana, giù nella propria gola, come se la sua voce fosse intrappolata dentro di sé. Abigail lo chiama costantemente, Abigail si trova in altro luogo, e chiede di sapere dove si trovi. E poi l'immagine di Garrett Hobbs, anch'egli altrove, si unisce come una litania a quella di sua figlia, si sovrappone, si intreccia - «Vedi? Vedi?» - ma non gli riesce mai di afferrarla con la mente, finché Will non si spinge troppo in là, riemergendo dai suoi sogni. Fissando un soffitto dipinto di grigio.
Fandom: Hannibal
Personaggi: Will Graham
Genere: introspettivo
Avvertimenti: spoiler (per chi non ha ancora recuperato il finale), missing moment, slice of life
Parole: 746
Note: scritta per la seconda settimana del COW-T estivo, prompt "Altrove". Ho attribuito a Will alcuni tratti e comportamenti dell'Hannibal dei libri (giusto un paio di indizi!) per evidenziare il fatto che, come gli ha detto Hannibal in Red Dragon, sono un po' due lati della stessa medaglia. Sì, so che hanno fatto la stessa cosa con Gideon, ma Abel si comportava come Hopkins!Hannibal perché credeva di essere il Chesapeake Ripper. E insomma, prima che ste note per sta ficcy inutile diventino troppo srs smetto di blaterare XDDDD
L'odore di ruggine e nicotina mischiato ad altri aromi spiacevoli è debole, ma persistente e invasivo. È durato talmente a lungo che tutti gli oggetti lì dentro hanno preso quel particolare odore, e tutti i visitatori e le guardie cercano sempre di non farci caso, ma il ferro ha quella nota pungente e acida che non può fare altro che far storcere il naso.
Will Graham, ormai, non se ne accorge neanche più. L'ha avvertito appena quando l'hanno rinchiuso lì dentro, il sedativo che correva ancora nelle sue vene, le luci e i colori dell'ambiente civile che si trasformavano gradualmente nel cupo e monotono grigio-marrone dell'Istituto Mentale di Baltimora, nelle celle dove ogni tanto si sentono sospiri, risate, conversazioni a senso unico e bisbigli sinistri. Will, in questi mesi, ha preso a rispondere ai richiami solitamente inutili dei compagni di cella, a rispondere con sarcasmo sempre più pesante alle domande e alle provocazioni di chiunque, ha anche iniziato a chiedere di poter leggere dei libri, pur continuando ad intrattenere il pensiero, nell'anticamera del cervello, che il suo caso finalmente potrà essere risolto. Ed è quasi certo che, per risolverlo, bisognerà far rispondere ad Hannibal dei suoi crimini.
Hannibal. Quando il suo nome viene pronunciato da qualcuno - o da se stesso - la sua espressione diventa dura, gli occhi quasi di pietra, il suo corpo si volta verso l'ombra per non guardare, un po' come se avesse paura. In verità, le mani prendono sempre a tremare in modo diverso da quelle di qualcuno che è terrorizzato o sconvolto. Tremano in cerca di qualcosa a cui aggrapparsi, qualcosa da torcere. Il suo nome lo sussurra anche nel sonno, il naso che sembrerebbe captare odore di pelliccia di qualche animale, ma è solo una illusione. Quando ha visto Hannibal l'ultima volta era come se non si fosse ancora svegliato dai suoi incubi, quelli che riecheggiavano del rumore di zoccoli, un suono sordo e pesante.
Le sue labbra sanno di sangue, sono ruvide e secche per quanto le ha morse e per quanto abbia staccato pezzi di pelle, il suo aspetto è terribile rispetto a quando è stato rinchiuso, e come una serpe fa la muta è come se Will stesse cercando di liberarsi del proprio corpo. Si gratta in continuazione, la pelle arrossata e addirittura irritata in più punti, la sua unica spiegazione è che non sa farne a meno. È solo quando vede Alana o Jack Crawford che il bisogno di torturare il proprio corpo smette. La loro presenza è come un lenitivo, ed il cambiamento che portano in lui per quei pochi minuti è radicale. Alana soprattutto si offre sempre di prendere la sua mano fra le sbarre nonostante gli avvertimenti delle guardie, ogni volta Will la guarda e poi guarda le proprie, di mani, bianche e ruvide, e dopo averle parlato di quanto il tempo sembri non scorrere mentre là fuori il mondo gira, semplicemente l'ex-agente Graham si ritira nel suo angolo, sul suo letto, smette di parlare per aggrapparsi a quel momento infinito di benessere che lei gli può portare.
Jack non ha mai smesso di fargli domande da quando l'ha guardato ed ha realizzato che non solo aveva bisogno di aiuto, ma che qualcosa gli avrebbe rosicchiato troppo il cervello se non l'avessero scoperto. Ma tutte quelle domande sono come un brusio alle orecchie di Will, eppure sembrano placarlo, quando alza gli occhi in quelli attenti e costantemente affilati di Jack è un po' come parlare di nuovo a suo padre, quando aveva dei segreti, da ragazzino, e non glielo voleva dire.
Lo sguardo vaga come sempre fin dove può arrivare, a volte preme il viso contro le sbarre solo per farlo spaziare di più, altre volte semplicemente cade sul materasso dalle lenzuola cambiate ogni settimana, lasciandosi cullare dal ricordo dei vecchi sogni, quelli che se prima lo terrorizzavano ora sono come il richiamo di una vecchia compagna. È attraverso quei sogni da sveglio che sente la voce di Abigail, lontana, giù nella propria gola, come se la sua voce fosse intrappolata dentro di sé. Abigail lo chiama costantemente, Abigail si trova in altro luogo, e chiede di sapere dove si trovi. E poi l'immagine di Garrett Hobbs, anch'egli altrove, si unisce come una litania a quella di sua figlia, si sovrappone, si intreccia - «Vedi? Vedi?» - ma non gli riesce mai di afferrarla con la mente, finché Will non si spinge troppo in là, riemergendo dai suoi sogni. Fissando un soffitto dipinto di grigio.
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