Titolo: Perseguiti da un ricordo
Fandom: Boku Dake Ga Inai Machi (ERASED)
Personaggi: Satoru/Kenya, hint leggerissimo di Yashiro/Satoru
Genere: angst, introspettivo, erotico
Parole: 2437
Avvertimenti: lime, future fic
Note: Per il prompt "Kenya Kobayashi/Satoru Fujinuma, A volte Yashiro tormenta ancora i sogni di Satoru, ma il corpo di Kenya premuto contro il suo è sempre pronto a confortarlo (serie Netflix)" al pornfest; per la M1 della seconda settimana del COW-T (“voce”) e per la maritombola (90. If you think this has a happy ending you haven’t being paying attention). Non la shippo nemmeno, la Kenya/Satoru, ma vbb, mi piaceva il prompt XD
Ha sentito questa voce troppo spesso negli ultimi anni. Ma l'effetto che gli fa è sempre lo stesso.
“Satoru, sono arrivato.”
La voce di Yashiro è una che non riesce a dimenticare, è una voce che riconoscerebbe subito e ovunque. Calda e accogliente, cortese, ingannevole. E Satoru non si è mai creduto stupido, ma la voce e gli sguardi di quell’uomo gli hanno permesso di ignorare segnali che avrebbero dovuto insospettirlo. La voce di Yashiro è quella che ricorda meglio di tutte. Ed è lì. Lo sente, annusa il suo odore. Tutto di quell’uomo gli è entrato sotto pelle tanto tempo fa - la voce, il profumo, lo sguardo, il tocco. A volte, quando visita certi posti, gli pare di avvertirne la presenza, ma non lo trova mai.
“Yashiro?”
“Segui la mia voce, Satoru. Apri gli occhi per me.”
Ma non ci riesce, per quanto ci provi. È buio, e non ci vede. Il nero che preme sui suoi occhi non gli lascia vedere il viso di Yashiro, non gli lascia sapere dove sia esattamente.
Alla fine l’ha capito, Yashiro. Ha capito i suoi motivi, ha capito cosa volesse. Ma resta comunque un assassino, e Satoru non può dimenticare il suo viso una volta gettata la maschera. Yashiro è un mostro. Yashiro ha quasi ucciso Kayo. Ha quasi ucciso Iui.
“Dove sei, Yashiro?”
La sua voce riecheggia nel buio, non incontra nulla. Non gli arriva alcuna risposta, e ora il cuore batte più forte. “Dove sei?”
“Non posso dimenticarmi di te.”
E ora la voce di Yashiro arriva da sopra la sua spalla. Incredibilmente vicino, ma impalpabile. Satoru si volta, ma non riesce ad afferrarlo, eppure ne sente il respiro dritto nell’orecchio.
“Yashiro, dove sei? Fatti vedere!”
Ma di Yashiro c’è solo la voce. Vicinissima, impossibile da scuotersi di dosso. Gli entra nelle vene, lo invade e lo intossica.
“E tu non puoi dimenticarti di me, Satoru. Non ti lascerò andare. Siamo legati per sempre, ricordatelo.”
La sua voce gli fa battere forte il cuore - per il terrore, e per qualche altro motivo. Satoru non è mai riuscito ad afferrare il filo teso fra lui e Yashiro, a capire di cosa fosse fatto. Non ha mai capito come poterlo tagliare e come fare per liberarsene.
“Satoru?”
È la voce assonnata di Kenya, che bofonchia dietro di lui. Quello che l’avvolge ora è un braccio, e tutto attorno a lui è morbido. Quando apre gli occhi, c’è la luna luce sul comodino a confonderlo ancora di più. Dov’è il buio? Dov’è Yashiro?
Si volta subito nel letto, spingendo via le coperte e sgranando gli occhi - adesso ci vede, adesso si rende anche conto di dove si trovava. Sotto le coperte, fra le braccia del suo ragazzo. A letto con Kenya. Ieri notte si sono addormentati insieme, dopo una serata tranquilla con la televisione.
“Ah…”
I pensieri gli scorrono per la mente veloci, per decodificare ciò che percepisce prima che giunga alla conclusione che lo fa rilassare. Almeno un po’.
“Ah, era un incubo.”
Sente lo sguardo di Kenya su di sé, e ormai è tardi per dirgli che non era nulla.
“Hai sognato sensei, vero?”
Satoru sospira, con lo sguardo che scivola lungo il bordo delle lenzuola, mentre Kenya si poggia su un gomito per guardarlo meglio, lasciando andare i suoi fianchi.
“Non ti si può nascondere niente, eh?”
Kenya non ride.
“Sensei è in prigione,” gli ricorda.
Satoru sospira. Sì, Yashiro è in prigione. Mesi fa l’avrebbe presa come una rassicurazione, ma ora suona un po’ troppo insistente per farlo rilassare davvero. Come se anche Kenya dovesse assicurarsene e verificare con Satoru che sia vero.
“Se potessi mettere anche i ricordi in prigione da qualche parte, forse non avrei ancora gli incubi.”
Yashiro ha passato quindici anni a prendersi cura di lui. Avrebbe potuto ucciderlo in qualsiasi momento, e forse Satoru non se ne sarebbe nemmeno accorto. Non ricorda quando Yashiro gli ha fatto la barba, con la lama che scivolava sulla pelle della sua gola. Non ricorda gli occhi di Yashiro su di sé, non ricorda le sue parole. Non ricorda dove le sue mani siano andate, quando Satoru si trovava, completamente inerte, sotto di esse.
Forse ricorda solo la sua voce, da qualche parte. Forse la voce di Yashiro che ha sentito nei suoi incubi da quando è finito tutto, quella che ha sentito echeggiare nel buio della propria testa è una ripetizione di quello che Satoru ha sentito mentre il proprio corpo lo teneva prigioniero sul lettino dell’ospedale. Forse le parole che lo tormentano di notte sono quelle che gli hanno tenuto compagnia, suo malgrado, per tutti quegli anni alla mercé di un assassino ossessionato da lui.
Satoru deglutisce, con il respiro che si fa più veloce e pesante.
“Satoru.”
La voce di Kenya lo scuote e guida i suoi occhi, Satoru finalmente lo guarda. Vede i suoi occhi, e ci legge preoccupazione dentro.
“Scusa, Kenya. Non riesco a levarmelo di dosso. Non ci riesco.”
Sospira di nuovo, premendo le mani sulle palpebre con la frustrazione che si arriccia nel suo stomaco.
Kenya lo guarda, con le sopracciglia aggrottate. Lo sapeva, che quei giorni delle elementari avrebbero continuato a seguirli molto a lungo. Non si sfugge alla morte senza lasciarle qualcosa di sé, non la si guarda in faccia senza ricordarne il volto per sempre.
“Non mi aspetto che tu ci riesca,” risponde finalmente, con lo sguardo attento e serio come sempre. “Soprattutto dopo tutto quello che hai visto.” Non è la prima volta che glielo dice.
Kenya è stato l’unico col quale Satoru poteva parlare dell’accaduto, di Yashiro e di Kayo e della loro classe. È l’unico che gli ha permesso di liberarsi almeno di qualche peso, di qualche senso di colpa. È l’unico che può capire gli strani atteggiamenti di Satoru, il motivo per il quale a volte prende strade più lunghe solo per evitare un luogo, il motivo per il quale d’inverno sia difficile farlo uscire di casa, per il quale non guarda più i telegiornali e non vuole più sapere nulla di omicidi o notizie riguardanti i bambini; il motivo per il quale, quando gli succede di dover andare in ospedale, poi spende l’intera giornata a calmare l’ansia. Si credeva più forte, Satoru. Credeva che una volta dimesso dall’ospedale e dopo aver scritto il proprio manga, la vita sarebbe ripresa come sempre, come se il coma di quindici anni fosse un capitolo chiuso. Aveva sperato che rivivere gli stessi eventi multiple volte e aver visto sua madre riversa in cucina in una pozza di sangue non avrebbe lasciato un segno profondissimo. Quell’immagine gli fa scuotere la testa, per cacciarla via prima che possa imprimersi nelle sue retine.
“Kenya, fammi pensare a qualcos’altro,” dice finalmente, volgendo lo sguardo verso l’altro uomo giovane quanto lui, ma che in certi momenti sembra abbia dieci anni in più.
Kenya lo osserva, analitico, ma finalmente la sua mano si muove con cautela, chiedendo silenziosamente il permesso di toccare il fianco di Satoru, il ventre, le gambe, mentre lo trascina sopra di sé, accompagnandolo con le mani e stringendogli le gambe attorno. Prende il suo mento con tre dita, e lo guida verso le proprie labbra.
È successo durante il processo a Yashiro. I giornalisti continuavano ad accalcarsi attorno alla casa di Satoru proprio quando avrebbe avuto bisogno di pace. Il suo telefono non smetteva un attimo di squillare, e le uniche persone che lasciava entrare in casa erano Kenya, Kayo e Airi. Ma parlava di Yashiro solo con Kenya. È stato un po’ inevitabile che, dopo una infanzia passata assieme e dopo essere scampati alla stessa minaccia, si sarebbero trovati così... ad essere uno il sostegno dell’altro.
“Satoru,” Kenya lo chiama piano, passando le dita fra i suoi capelli. “Guarda me. Guarda solo me.”
Satoru annuisce, prima di iniziare a baciargli il collo e il petto, col fruscio delle lenzuola che, discreto, riempie lo spazio attorno a loro, e poco dopo ad esso si aggiungono i sospiri di Kenya.
Satoru non smette di guardarlo un momento. Il sesso è più che altro una distrazione, ma Satoru non è ancora riuscito a capire quanto Kenya sia a proprio agio con la cosa. Non gli ha mai rivelato chissà quali sentimenti, non ha mai espresso irritazione all’idea di fare sesso senza mettere un nome al loro legame. Per quanto Satoru ne sappia, sono amici, e quella è la definizione più adatta. Ma a volte c’è chi li scambia per amanti, e per quanto le impressioni esterne siano irrilevanti, a volte Satoru si chiede perché il suo migliore amico accetti tutto questo. Perché rinunci ad una relazione normale per tenere spazio e tempo liberi per Satoru.
Kenya gli afferra un ciuffo di capelli, mentre Satoru lo bacia fra le gambe, con la lingua che lo accarezza e rumori umidi che si spandono nell’aria.
“Satoru.” La voce vibrante di Kenya lo guida ancora, assieme alle mani che spingono e lo tirano delicatamente per i capelli, imponendo un ritmo. Satoru lo segue. Glielo deve, per tutte le giornate che Kenya ha passato con lui e per tutte le volte in cui si è sentito di nuovo un bambino alla mercé di un uomo del quale si fidava. Ma Kenya c’è stato, se poteva esserci.
Pian piano, Kenya prende a muovere i fianchi, spingendoglisi in gola, ma Satoru non dice nulla. Si lascia fare, lo guarda e lo ascolta con il cuore che pulsa con forza nel suo scrigno, e chiude gli occhi solo quando sente un sapore lievemente aspro sulla lingua, un liquido vischioso che gli riempie la bocca. La voce di Kenya si spezza, per un attimo, e Satoru coglie il rossore leggero sulle sue guance con un piccolo sorriso di soddisfazione.
Lascia colare dalle labbra un po’ del liquido mischiato alla propria saliva sulle dita, osservando Kenya mentre chiude gli occhi spossato, ma allarga le gambe comunque.
“Posso?” Satoru chiede, spingendo via dalla testa la voce di Yashiro che, per qualche motivo, echeggia ancora come venisse dal fondo di una caverna. Kenya annuisce soltanto, alzando i fianchi dal materasso, e Satoru fa scorrere la lingua sul suo ventre mentre risale lungo il suo corpo, e finalmente inserisce un dito bagnato dentro di lui con attenzione e forse un po’ di imbarazzo - nonostante abbiano fatto queste cose spesso, da quando hanno deciso di vivere insieme. Continua a guardarlo, come se non potesse smettere. Come se Yashiro potesse materializzarsi nella loro stanza e avvolgerli nel buio.
Appena Kenya inizia a lasciarsi scappare i suoni che hanno premuto in fondo alla gola fin dall’inizio, Satoru si permette di inserire un altro dito dentro di lui, affondando il viso sul suo collo per respirare il suo odore. È familiare, confortante. È un odore che non ha mai collegato al pericolo, per se stesso o per qualcun altro. Un po’ calma i pensieri, indebolisce la voce che si ripete nella mente di Satoru.
Il sesso è l’unico modo che ha per non pensare. E quando si spinge nel calore accogliente di Kenya, il nulla gli dona sollievo. Perché non c’è più nulla, non ci sono pensieri né preoccupazioni. Non c’è Yashiro. C’è solo il proprio corpo che rincorre il calore condiviso fra i loro corpi, ci sono solo loro due e le lenzuola che si agitano con fruscii veloci, il rumore del letto che cigola un po’, la voce di Kenya che guida il suo inconscio fra le proprie sensazioni. Sono momenti di ristoro puro, con tutto il tempo che la sua mente passa a lavorare, con l’agitazione che si arrampica lungo la sua spina dorsale tutto il tempo. Quando c’è il sesso, manca la sensazione di poter sempre incontrare Yashiro, nonostante non sia possibile. Quando c’è Kenya, Yashiro e il passato smettono di esistere.
Kenya è quasi l’unico a non avergli detto di passarci sopra, di ricostruire il proprio io e di lasciarsi l’infanzia alle spalle. Perché lo sa, perché lo capisce che non è possibile. O forse lo è, ma non è un percorso facile. Lo sa anche Kayo. Forse Kayo l’ha capito prima di tutti. Per questo è l’unica altra persona con la quale Satoru parla della scuola. Ma Kayo in qualche modo ci è riuscita, a costruire qualcosa. Kayo è andata avanti, loro sono rimasti incastrati nella trappola che Yashiro aveva costruito per loro, anche dopo avere vinto.
Forse l’incubo di Kenya è che non l’ha capito in tempo. Non ha risplto il puzzle prima che Yashiro tentasse di uccidere Satoru, è stata la sua decisione di prendere le distanze da quello che stava succedendo. Forse è questo che l’ha trattenuto per tutti questi anni. Forse vedere il viso di Satoru e sentire i suoi incubi non fa altro che ricordarglielo quando potrebbe dirsi che in fondo non era altro che un bambino. Un bambino molto acuto e intelligente, ma pur sempre un bambino. Potrebbe vivere libero, senza preoccupazioni, se Satoru non l’avesse preso per mano invitandolo a spendere tempo assieme, a scuola.
Ma Kenya glielo dice in continuazione: voglio stare qui.
“Devi lavorare domani?” Satoru ansima, rotolando via da lui e guardando il soffitto.
“Sì.” Kenya gli risponde asciutto, ma tranquillo.
Non ha mai perso un giorno in ufficio, non ha mai perso una giornata in tribunale, non ha mai risentito di queste notti quando doveva difendere qualcuno. Ma Satoru stringe le labbra e poi lascia andare un sospiro pesante, strofinandosi gli occhi.
“Satoru, non preoccuparti.” La voce di Kenya suona quasi scocciata. Non gli serve nemmeno fare finta di saper leggere il pensiero.
“Ti ho svegliato. Scusami,” Satoru gli dice, scuotendo la testa.
“Ti ho detto che non ti devi preoccupare, okay? Ti capisco.”
Satoru lo guarda, aggrottando le sopracciglia mentre stringe le labbra, ma rimane in silenzio. E finalmente Kenya si alza, bagnandosi della luce della luna che filtra dalla finestra. Prende una sigaretta dal comodino, infilandone una estremità fra le labbra.
“Ti dispiace?” Chiede, sovrappensiero, implicitamente rifiutandosi di uscire.
“No,” Satoru risponde, e torna a guardare il soffitto col braccio che gli copre gli occhi.
L’odore del tabacco lo raggiunge e pare quasi rassicurante. È nella propria stanza, con Kenya. La voce di Yashiro tace. Forse non durerà fino a domani, ma per il momento ascolta solo il proprio corpo, lasciandosi cullare dall’orgasmo che pian piano svanisce. E Kenya inizia a canticchiare con le labbra chiuse, mentre guarda fuori dalla finestra, affondando lo sguardo nel cielo.
Satoru lo ascolta, non riconosce la melodia ma lascia che il timbro di Kenya lo accompagni di nuovo nel sonno, sperando di non sentire di nuovo l’altra voce, quella che da anni lo chiama nel buio.