12 February 2018 @ 04:31 pm
[YURI ON ICE] (senza titolo)  
Titolo: ///
Fandom: Yuri!!! on Ice
Personaggi: Michele/Sara Crispino
Genere: angst. Circa. Non lo so. Sì dai, famo che è angst per motivi organizzativi.
Avvertimenti: accenni di incest, one-sided
Parole: 820
Note: per il prompt "The 3 saddest mathematics love stories" della quinta settimana del COW-T. E perché sono annoiata a morte. E non ho voglia di rileggere né trovare un titolo. 



“Asintoto: in geometria, retta alla quale una curva che si estende all'infinito si avvicina indefinitamente senza mai raggiungerla.”

Non sa perché gli tornino in mente nozioni di geometria proprio ora, ma è tutto vero.

Si ricorda della prima volta che l’ha vista, in braccio a papà. Aveva appena ricevuto un nome, una etichetta che si sarebbe attaccata alla sua fronte per sempre, una definizione permanente, una parola che rotolò facilmente dalla sua bocca chiamandola per la prima volta, per cominciare ad abituarsici: Sara.

Si ricorda di un giorno di primavera, quando erano piccoli. Avranno avuto dieci anni entrambi. Ricorda l’odore di cemento, intrappolato fra le mura dell’edificio vuoto, perché abbandonato quand’era ancora in costruzione. La mamma aveva detto loro di non girare in quei posti, ché ci vanno i drogati e la brutta gente, ma quel giorno c’era solo la penombra, c’erano solo gli insetti e le lucertole, una montagnetta di rifiuti nell’angolo, una siringa che Michele aveva calciato fuori perché non potesse in alcun modo entrare in contatto con Sara.

E c’era lei, arrotolata contro il muro, piccola, fragile. Piangeva. Aveva litigato con la sua migliore amica, e dopo aver fatto una sfuriata a casa per la rabbia era corsa via e si era accovacciata lì, sul pavimento sporco e polveroso, a rimuginare e borbottare, ma col piccolo cuore già stretto per la paura di trovarsi senza amici il giorno dopo, che gli altri bambini si sarebbero scagliati contro di lei. Michele l’aveva seguita a ruota, e l’aveva trovata lì, tutta sola. Sara lo aveva guardato una sola volta, più che altro per avvertirlo: se mi prendi in giro ti prendo a calci. Invece, avvicinandosi piano come si fa con una belva in guardia, Michele si era seduto accanto a lei, e le aveva passato il braccio attorno alle spalle, per poi baciarle la guancia piano.

Si toccavano poco, Sara e Michele, e quando si toccavano erano abbracci, erano baci sulla guancia, erano tocchi innocenti e normali, fra un bambino e la sua sorellina.


Si ricorda anche di aver interrotto quell’equilibrio, ma quella volta ha cominciato lei. Era colpa sua. Si era vestita con la gonna corta, per uscire con quel cretino di Filippo (o con Giuseppe, non ricorda quale fra i tanti fidanzatini che Sara ha avuto a sedici anni). Si era truccata bene, aveva fatto di tutto per mettere le tette in risalto, pronte ad essere palpate. Sorrideva tutta eccitata, pure, mentre si infilava i tacchi da cinque per sembrare solo un po’ più alta e slanciata.

Michele si ricorda di essersi piazzato all’entrata di camera sua mentre una canzone di Marco Carta faceva da sottofondo ai suoi preparativi.

“Con chi esci?” Aveva chiesto, torreggiando da lì, con le braccia conserte e lo sguardo fiammeggiante. Stava anche coccolando l’idea di seguirla e assicurarsi che non sarebbe stata toccata.

“Ma sono affari tuoi?”

“Sì, sono affari miei.” Non sapeva nemmeno perché, Michele, ma quelli che Sara stava prendendo erano senza dubbio passi. Passi che si sarebbero allontanati da lui dopo una vita passata come rette parallele e vicinissime. Finora, averla stretta a lui come quando erano nella pancia della mamma, quello era bastato. Però Sara stava diventando grande, stava accadendo con ritmi che Michele non sapeva ancora seguire, stava cominciando pian piano a staccarsi. Dalla famiglia, dalla casa, e da lui.

Ricorda di averla trattenuta per il polso mentre cercava di uscire, ricorda di essersi sentito chiamare un pervertito mentre lo colpiva con la borsetta di paillettes dopo che l’aveva costretta contro la porta della sua stanza, coi loro corpi stretti assieme e Michele l’aveva guardata dritta negli occhi, respirandole sulle labbra e bisbigliando di non volere che lei uscisse con quel ragazzo, chiunque fosse.

Ricorda ancora il ritmo del proprio cuore in quel momento, ricorda il profumo forte che Sara si era spruzzata addosso - troppo profumo, troppo forte - e ricorda il colore del suo ombretto prima che lei lo scaraventasse via da sé. Era stato debole, si era lasciato sopraffare, questo doveva essere successo. È stata Sara a lasciarlo lì, per terra come un coglione.


Ha realizzato che lui e Sara non saranno più Michele e Sara. C’è Michele, con i suoi ritmi e i suoi risultati. E dall’altra parte dello steccato c’è Sara, a vivere in un’altra dimensione, in un’altra casa, in un altro Paese, pattinando a modo proprio e competendo con qualcun altro. Via da lui, via da mamma e papà, via dalla sua camera da letto, via dalla loro infanzia e dal parchetto dietro casa dove giocavano sempre insieme, dove Michele si era azzuffato più volte coi bulletti del quartiere per difenderla.

Se n’è andata, si è allontanata. Come la curva che si è avvicinata fino a quasi toccarlo, e che ora se ne va, saetta via dalle sue dita per intersecarsi con altre rette, con altri punti, con altri piani, senza toccarlo mai davvero. Come se non fosse mai successo nulla.