01 April 2018 @ 11:29 pm
[FREE!] Amaro  

Titolo: Amaro
Fandom: Free!
Personaggi: Nagisa/Rei (ex)
Genere: angst
Avvertimenti: what if?, hooker!AU
Parole: 1758
Note: stasera non sarebbe cosa da scrivere (anche perché c'ho bile da sputare per cazzi miei e buttarla un po' fuori fa sempre bene, mi spiace solo doverla sputare su Nagisa che tutto si merita tranne la bile gratuita, scusami Nagisa ma sono un caso umano), ma è da tutto il giorno che ho in mente il prompt "solitudine" della notte bianca, e con la Pasticceria del buonumore ho l'ovetto col prompt "notte in bianco", le due cose hanno clashato in questo modo e quindi è successo sto patatrac. E fine. Che poi vabbè, era da un po' che non scrivevo e mi mancava, tutto qui.

Quando va bene le notti scorrono silenziose, baciando il suo cuscino. Passano fra i suoi capelli, tiepide, e soffiano appena parole dolci al suo orecchio; coprono i suoi occhi col buio e lo avvolgono, sicure e placide, accompagnandolo nel sonno con il passare di minuti lenti, minuti che se ne vanno ticchettando con le lancette dell’orologio come il suono di tacchi a spillo regolari, in qualche modo rassicuranti.
Questa notte però stride. Graffia sulla sua pelle, circonda il suo collo, e il sapore del metallo si accumula sulla lingua mentre lo stomaco si stringe, come se gli acidi si fossero riversati sui suoi organi, come se i pensieri fossero bile.
Nei suoi sogni, tutti sorridono. Gli stringono la mano, gli chiedono come va. Gli parlano delle loro giornate, delle persone che amano, dei bambini (ci sono sempre bambini), delle preoccupazioni. Preoccupazioni che però dicono di poter gestire, per esempio con: “chiamerò, gli dirò, mi segnerò”. Tutte persone che sembrano seguire un copione, ma non si sente più intelligente nel pensarlo. Perché sarebbe bello sfrecciare via senza pensarci troppo, sarebbe bello non chiedersi ogni istante se questa sia la vita giusta, una da passare con le gambe aperte e decine di passeggeri a fare un giro senza rimorsi. E poi non è una vita che possa durare, ma questo gliel’hanno detto fin dall’inizio. Presto diventerà troppo vecchio, poco attraente, troppo consumato. Ai clienti le puttane piacciono con l’aria innocente, con la pelle fresca e morbida, con la disperazione della gioventù fra le righe d’espressione. Ai clienti lui piace quando scherza, quando gli vengono dentro e dalla sua bocca escono gemiti dal suono sincero perché nessuno paga per la recita, lo prendono in prestito per possederlo completamente e farne quello che vogliono (fosse anche solo per cinque minuti).
Nei suoi sogni dove tutti sorridono, lui è sempre l’unico a non farlo. Una volta erano in due a non farlo. Gli manca il tocco di quella mano, quella che non cercava di afferrarlo, ma che scorreva fra le sue dita e lo guidava.
Gli manca Rei. Gli manca l’inflessione della sua voce quando gli diceva ti amo, gli manca il suo sguardo quando sotto la puttana scorgeva il moccioso quando faceva i capricci in cucina, col sole che lo baciava sulle guance, quando le notti di rumore erano rare; e comunque Rei le scacciava sempre via stringendolo alla vita, abbracciando il suo Nagisa-kun nel sonno con l’erezione inconsapevole che premeva contro la sua schiena. A Rei, lui piaceva. Forse avrebbe continuato a piacergli, ma non lo può sapere.
E stanotte i sorrisi nei suoi sogni diventano ghigni. Perché infatti anche Rei alla fine se n’è andato. E ha fatto bene – che ci fa un neo-laureato con una puttana dall’educazione appena sufficiente, che comunque non ha mai smesso di concedersi a trecentomila sconosciuti?
Sarebbe potuta andare diversamente. Avrebbe potuto smettere e seguire Rei-chan, avrebbe potuto cercare un lavoro da qualche parte dove ‘prostituzione’ non sarebbe stata una voce problematica sul curriculum. Ma lo sapeva, che non sarebbe durata. Se lo sentiva già, nel fondo dello stomaco. Perché non se l’è mai meritato, Rei-chan. Non si meritava le sue braccia spesse attorno alla vita, la bocca sulla sua, i ti amo intrecciati fra le altre parole. E poi un’altra voce lo interrompe sempre – non ti fa un po’ comodo pensarla così?
Ma non ha senso, non ha senso che gli faccia comodo- ogni volta che arriva a questo punto perde l’orientamento, ogni volta che esamina notte dopo notte i passi che l’hanno portato qui, il filo rosso lo trova per terra, tagliato via dal percorso per uscire. Notte dopo notte tutti sorridono nella sua testa, e non sa se ridono di lui o no; notte dopo notte il cuore si rifiuta di dirgli cosa rimpianga così tanto o cosa esattamente avrebbe dovuto fare di diverso. Da qualche parte, centinaia di rifiuti e sorrisi che si sono allontanati gli ricordano cosa rischiava di ripetersi, e si dice che è per quello. Per quello ha lasciato che Rei lo abbandonasse. Sì, dev’essere così, dev’essere che prima o poi se ne sono andati tutti. Gli amici della scuola, i colleghi, mamma e papà appena hanno saputo chi era davvero, Nagisa. Se ne sono andati tutti, sorridendo appena in quel modo appena dispiaciuto, come a dire “mi scusi”.
Fra le coperte, la notte di solito lo culla, gli dice che domani troverà qualcun altro che lo stringerà senza banconote che penzolano fra le dita, gli bisbiglia che domani troverà un altro Rei-chan, e che quel Rei-chan non lo lascerà andare mai. Gli piace quando la notte gli dice cose come quella, anche se in fondo dovrebbe saperne abbastanza di vendere illusioni.
Il buio lo strizza fino a cavargli ogni fiato, però, stanotte.
Rei-chan, Rei-chan. Il suo nome trova una vita fra le sue labbra, lo chiama con il fiato spezzato e sembra che potrebbe morire soffocato adesso, col pugno ficcato in bocca anche se comunque i singhiozzi non darebbero fastidio a nessuno.
“Gli uomini non piangono,” gli diceva suo padre. Però quello è un ricordo vaghissimo, sommerso dalle centinaia di voci che si accalcano fra le pieghe del cervello. È da così tanto tempo che non parlano più che Nagisa non ricorda nemmeno il suono della sua voce. Allora forse non importa.

“Rei-chan…”
Quando lo chiama, Rei impiega qualche secondo a capire chi sia, a collegare la sua voce alla persona, a quello che è successo fra loro.
“Hazuki-san, sono le tre-” biascica, col tono di un ricercatore che ha passato la notte col naso fra le pagine di un libro, la voce di una persona seria, che si è messa a posto. Non il timbro di un fanciullo perso dentro la propria testa.
“Parlami di qualsiasi altra cosa- non riesco a dormire,” dice con la voce che trema, e un po’ il petto gli si riempie di sollievo perché è riuscito a parlare, addirittura.
Nagisa lo sa, che dovrebbe convincere i sorrisi e le voci nella sua testa a lasciare perdere, ad arrendersi; però forse anche a loro piace ancora la voce di Rei-chan. “Leggimi quello che stai studiando.”
Il sospiro di Rei suona così familiare. L’ha sentito così spesso e una volta erano sospiri leggeri, quando la sua voce reggeva ancora il peso dei capricci e della petulanza di Nagisa. Verso la fine, sono diventati pesanti e spazientiti. Non ricordava più perché avesse accettato il peso del tempo sprecato e le proprie voci che si chiedevano perché Nagisa non volesse camminare con lui verso un futuro più promettente. Le proprie voci che gli chiedevano se ne valesse la pena, stare con qualcuno che preferiva scopare con migliaia di persone a caso prima di coricarsi con lui. Maligne, forse, ma suggerivano sempre la stessa cosa, che forse Rei non gli dava abbastanza tempo, abbastanza del suo corpo e delle sue parti più deboli. A volte ci ripensa sopra, e quando si chiede cos’altro sarebbe stato disposto a dargli, non gli risponde altro che il vuoto.
“Perché mi chiami ancora?” Rei chiede, a voce bassa. Non ha neanche l’energia di arrabbiarsi, ma d’altra parte non ha mai neanche avuto la forza di cancellare il suo numero e bloccarlo per sempre. Certe serate il pensiero che Nagisa sia ancora lì, tutto solo rimpiangendo il suo tempo con Rei, gli dà quattro secondi di soddisfazione piena, prima che l’aceto gli salga su per la gola. Ha colpito il segno, ha lasciato una traccia. Gli ricorda che ricordare fa ancora male anche a lui, a Nagisa.
“La tua voce mi tranquillizza,” Nagisa risponde, piano. Come se non glielo avesse già detto in tante altre occasioni, la notte, prima di addormentarsi assieme. Ma stanotte le parole lo colpiscono dritto al centro del petto e si infiammano per fare ancora più male. “Per favore.”
Rei si toglie gli occhiali e strofina i polpastrelli sulle palpebre, per un attimo pare che le parole della sua ricerca gli scorrano davanti agli occhi, e finalmente lascia andare un gran sospiro stringendo un commento al veleno fra i denti.
“Okay,” concede, stanco. “Appena sento che dormi però spengo il cellulare.”
Nagisa trattiene un singhiozzo di sollievo, nonostante tutte le risate che risuonano allo stesso tempo nelle sue orecchie. Una puttana che si sente così disperatamente solo da chiamare il suo ex a notti alterne solo per sentire la sua voce – patetico. Nessun altro che pensi che ne valga la pena.
Ha delle voci particolarmente maligne in testa, Rei gliel’ha sempre detto. Eppure spesso sono l’unica compagnia che ha, sono le uniche ad avere senso.
Rei comincia a leggere di nuovo, senza disturbarsi a dare una inflessione alle parole, ma Nagisa si aggrappa ad ognuna rabbrividendo per il ricordo di quando Rei gli parlava contro la pelle, assonnato, di quando le sue braccia gli cingevano la vita e le dita correvano su e giù per il fianco. Con le proprie ne emula il tragitto, ma pare quasi che non ricordi dove lo toccavano di preciso. Però pian piano la voce magica lo solleva dal gelo e dalla tensione. Lentamente, la notte torna a fare la brava, la pressione nella gola si attenua con le lacrime silenziose che finalmente si esauriscono, e la stanchezza finalmente lo schiaccia ma non fa male, e prima di lasciarsi andare al sonno sussurra un mi manchi che in stato di coscienza non si lascerebbe mai scappare.
Rei fissa il telefono per qualche minuto, con lo stomaco in una stretta di ferro e le parole davanti a lui perdono senso mentre le due che ha sentito dall’altra parte della conversazione si infilano in tutti i pensieri normali che cerca di formulare.
Non gli manca. Non gli manca arrivare in ritardo a lezione perché Nagisa l’ha… trattenuto, non gli manca tornare a casa e trovare il suo ragazzo nel panico con il pranzo bruciato, non gli manca venire continuamente distratto mentre tenta di studiare, non gli mancano i litigi perché non gli manca cogliere la vista del suo ragazzo premuto contro il muro davanti il condominio, non gli manca chiedersi se non fosse tutta una presa in giro. Non gli manca Nagisa. Non gli mancano gli imprevisti e non gli manca la paura. Va tutto bene così. Il lavoro è ad una svolta promettente, non può permettersi di farsi distrarre da una prostituta. Di sorrisi come il suo ne può trovare diecimila, e il fatto che ancora non gli abbia sorriso nessuno come faceva Nagisa non vuol dire nulla. Ne troverà un altro. È così che funziona. Quanto difficile può essere?