22 February 2020 @ 10:05 pm
[GAKUEN BABYSITTERS] Cose importanti  
 

Titolo: Cose importanti

Fandom: Gakuen Babysitters

Personaggi: Taka Kamitani, Hayato Kamitani

Genere: commedia

Avvertimenti: gen (purtroppo no, non è incest), missing moment

Parole: 1423

Note: cow-t10, terza settimana, m1 di nuovo. Dio, è da troppo tempo che non interagisco più con sto fandom e non avevo cazzi di andarmi a fare le ricerche in-depth per vedere se sia tutto esatto, quindi ecco vado a memoria sulla caratterizzazione. 



Gli hanno detto che a volte è difficile, essere il fratello maggiore. Gli hanno raccontato, parlando fra compagni di classe con più esperienza in questo senso, che quando arriva un fratellino le priorità cambiano e la vita diventa più impegnata e per lui non sarebbe stato diverso: bisogna preoccuparsi di volergli bene, giocare, proteggere e fargli da buon esempio, mentre allo stesso tempo ci si occupa delle proprie faccende, delle proprie priorità, tipo per esempio studiare. È qualcosa che dovrebbe riuscire a fare, ad un certo punto, specialmente visto che l’obiettivo è, adesso, entrare al liceo con un buon anticipo sul programma di studio - prima prendi la rincorsa più facile è poi la salita, diceva sempre il papà. Prima che se ne andasse e li abbandonasse, insomma. Però come ragionamento, almeno quello sembra avere ancora senso. 

Dicono che sia difficile, ma Hayato non credeva sarebbe stato un cambiamento così repentino. Prima di oggi, la loro casa era più che altro tranquilla e silenziosa, e certe volte la mamma diceva che lo fosse troppo. Ma a Hayato piaceva - il rumore gli dà ai nervi, e non è mai stato un tipo caotico o rumoroso. E comunque, pare stia già fallendo dal principio dal punto di vista dell’amare il fratellino tuo, provando una irritazione che sfiora l’odio. Non che sia colpa sua, comunque. Non ha colpe, lui, se il fagottino che la mamma si è portata a casa una settimana fa non riesce a stare zitto. Sa anche che è normalissimo, per un neonato, urlare come se lo stessero scuoiando ogni volta che si sveglia o che vede la mamma andare verso la cucina perché crede che non ci sia più. 

Ma non… questo. Non può essere normale che Taka, da quando l’ha visto la prima volta, abbia iniziato a piangere e strillare e non abbia più smesso - o almeno, a Hayato pare che stia sempre a piangere. O, perlomeno, piange in modo intermittente e incredibilmente spesso, prima che la mamma lo faccia smettere. Ogni tanto ci pensa, mentre tenta invano di studiare i suoi libri nuovi nuovi per il liceo, che dovrebbe chiedere alla mamma di insonorizzare la sua cameretta. Almeno così potrebbe occuparsi delle sue cose importanti senza disturbi vari. 


Lo guarda di nascosto, facendo capolino dalla propria stanza e lanciandogli una occhiataccia. È la mamma a intercettarla, e la sente ridere. 

“Hayato, non fare così, vieni qui!” 

Pare abbia già capito tutto. Hayato scuote la testa, accigliandosi ancora di più. 

“Non mi va. Che ha di speciale, comunque?” 

Lo sguardo della mamma si ammorbidisce. Non l’ha mai vista così tranquilla, soprattutto non mentre tiene in braccio un affarino minuscolo che, stranamente, pare essere tranquillo al momento. 

“Vieni,” gli dice, e Hayato sbuffa. E che sarà mai? È solo un bambino. Hayato ne vede tutto il giorno, tutti i giorni. Si avvicina comunque, se non altro perché la mamma oggi pare particolarmente di buonumore e, stranamente, tranquillissima. 

Guarda Taka, e appena lo vede gli occhioni del bimbo lo puntano, enormi e curiosi, come se fosse la prima volta che lo vede (non lo è). 

“Beh?” 

“Ascoltami,” dice la mamma. “Magari adesso non ti sembrerà niente di speciale, ma scommetto che fra poco gli vorrai bene anche tu. Dagli solo un po’ di tempo, e poi sarete migliori amici.”

Hayato lo guarda di nuovo - ha già una zazzera disordinata di capelli in testa, e degli occhi piuttosto svegli che lo fissano come se cercasse di leggergli il pensiero. 

Lo infastidisce. Ma guarda di nuovo la mamma, facendo spallucce. 

“Ok. C’è altro?” 

La mamma sospira, e poi allunga le braccia verso di lui, porgendogli il fagottone. 

“Dai, prendilo in braccio.”

“Eh? Ma sei impazzita?” Hayato risponde, facendo un balzello indietro. “No, no, sto bene così.”

La mamma lo guarda, piegando la testa, invitandolo con gli occhi. 

“Non… voglio fargli male!” Continua, usando la prima scusa alla quale può pensare. 

“Oh figurati, non succederà. Dai, fidati.” 

Hayato sospira, e finalmente si arrende tendendo di nuovo le braccia e usando tutta la propria concentrazione per manovrare i propri arti. E, quando finalmente sente il peso sui propri muscoli, spalanca gli occhi.

Taka pesa. Sembrava così leggero, adagiato con comodo in braccio alla mamma, però… però pesa. Non troppo, ma abbastanza. Se lo stringe anche lui al petto per non farlo cadere - non nel modo più aggraziato o come pensava di farlo, ma comunque non gli è ancora caduto. Cosa che parrebbe un miracolo, vista la sua improvvisa confusione. Anche un po’ di paura, a dirla tutta. Prima di tutto perché la mamma lo ammazzarebbe di sberle, probabilmente, e poi perché… mah. Taka lo guarda coi suoi occhi neri ed enormi, e rimane in silenzio, in quello che parrebbe un momento di contemplazione. 

Hayato si acciglia ancora, lievemente imbarazzato. 

“Beh? Che ha da fissare?”

“Sei una faccia nuova!” Lo apostrofa la mamma, ma sorride. 

“È da una settimana che mi vede tutti i giorni!” risponde. 

“Sì… forse una volta la mattina e una volta la sera visto che passi tutto il tempo in camera,” gli risponde, non senza un certo tono di rimprovero. 

“Beh, ho le mie cose da fare, io,” risponde Hayato, e poi torna a guardare Taka, che sembra non capire nulla tranne il fatto che c’è un fratello enorme davanti a lui che lo sorregge. E poi allunga la manina minuscola, e Hayato pensa che stia per toccarlo. Poi Taka si stiracchia, si sbilancia, e poi per il terrore riprende a strillare, mentre Hayato allarga gli occhi guardando sua madre con una espressione di puro panico in faccia. 

“Che faccio?” 

“Dallo a me,” risponde lei, con una calma quasi impossibile, e vedendolo immobile, troppo preso dalla confusione, ride e glielo prende dalle braccia. “Beh, non un disastro, come primo incontro.”


‘Non un disastro’ è quello che pare pensare di questi due fratelli per un bel po’, il che è decisamente meglio dell’alternativa, ma le cose non sembranno nemmeno andare esattamente a gonfie vele. Hayato sembra perlopiù rimanere sulle sue, Taka ogni tanto lo guarda e lo cerca con le manine senza ottenere una reazione significante. Perché Hayato ha le sue cose alle quali pensare. La scuola, i suoi amici, i suoi videogiochi. Perlopiù si limita ad accettare di condividere gli spazi e il cibo, ma gli ci vuole un po’ prima di adattarsi a questi nuovi ritmi, orari, abitudini. 

Passa qualche mese, poi passano cinque anni e non pare cambiare molto. Cioè, una cosa è cambiata - Taka è passato dall’emettere versi inconsulti al formare parole e frasi intere.
Tante.

Troppe. 

Così tante che Hayato se lo chiede spesso, da dove gli vengano tutte quelle parole. Soprattutto, perché Taka debba urlarle.

Tutte.

Sempre. 

Quasi quasi lo preferiva quando urlava. Perché era solo ogni tanto, e perché in fondo era anche comprensibile. 

E lo preferiva quando era troppo piccolo per ficcarsi in casini che poi Hayato avrebbe dovuto immancabilmente risolvere per lui. 

Ma in fondo, un pochino la mamma aveva ragione. Piano piano, da quando è nato, Taka ha cominciato a vedere di più il suo viso. Ha cominciato anche a sorridere, vedendo. E, cosa che Hayato non aveva previsto, cosa che nessuno gli aveva insegnato, vedendolo tutti i giorni anche lui ha iniziato a cambiare, gradualmente, un po’ alla volta. Perché tutta la sua vita gli è cambiata intorno per fare spazio a questo nuovo bambino. A questa nuova priorità.

E poi conta più di tutto il fatto che la mamma non sia più così arrabbiata e triste, anche dopo che papà li ha lasciati. 

Ma soprattutto, è difficile tenerlo a bada, sopportarlo, calmarlo quando si carica troppo. Però, non lo può negare, le cose sono davvero cambiate da quando gli si è approcciato con diffidenza, rifiutandosi persino di prenderlo in braccio. Perché, ora può ammetterlo, semplicemente non voleva farlo. Se l’avesse fatto volentieri, sarebbe cambiato tutto. E poi è cambiato tutto lo stesso. 


“Hayatoooooooooooooooooo, mi aiuti? Sono dentro la lavatrice,” sente urlare la vocetta soffocata di Taka in lontananza, proveniente da qualche anfratto in lavanderia. Suona anche un po' strozzata, come se avesse davvero preso la decisione idiota e inspiegabile di ficcarsi dentro la lavatrice senza pianificare l'evasione.
Hayato sospira. E poi si avvia per tirarlo fuori dall'ennesimo casino nel quale si è messo da solo. Prevede una vita così, che andrà avanti esattamente in questo modo e forse sempre peggio se Taka non si darà una svegliata. Eppure gli angoli della sua bocca si sollevano, appena appena.

In fondo l’avevano avvertito. Ma poteva andargli peggio, in qualche modo.