Titolo: Oh no, I see a spider web and it's me in the middle
Fandom: Boku Dake Ga Inai Machi (ERASED)
Personaggi: Yashiro Gaku/Satoru Fujinuma
Genere: erotico (sort of), dark
Avvertimenti: shotacon, non-con (che sarebbe implicito ma vbb, sempre meglio precisare), davvero un sacco badwrong tbh, what if?
Parole: 1153
Note: Innanzitutto, 1. se qualcuno avesse mai intenzione di leggere questa cosa: don't. Se è già stato fatto: mi dispiace.
2. Era per l'EYOTfest (Challenge #4) e per la Maritombola (prompt 27. Fiaba).
E c'ho problemi con Yashiro, specificamente con il sangue che mi fa il suo seiyuu. Non è colpa mia. :c

"Satoru."
Ha imparato ad odiare il proprietario di quella voce. Ha imparato ad odiarne il tono canzonatorio, le vibrazioni, lo sguardo negli occhi di Yashiro quando lo chiama. Ha imparato ad odiare il brivido gelido che sale lungo la sua schiena quando la sente- quella voce, il modo in cui Yashiro scandisce le sillabe del suo nome.
Satoru, come fosse un dolcetto esposto e pronto ad essere divorato. Satoru, come se Yashiro avesse già vinto.
Satoru, che ad ogni volta che si sente chiamato chiude gli occhi per ignorare il cuore che gli esplode in gola per la paura, per il ribrezzo, per l'odio, e anche per qualcosa che più di tutto il resto gli fa stringere i denti attorno a mille insulti perché non dovrebbe sentirsi così.
Satoru che non dovrebbe trovarsi in questa situazione, tornare ancora e ancora per salvare la sua classe, e giacere sul letto di Yashiro, nudo, per farsi mangiare con gli occhi. Yashiro non l'ha mai toccato. Non l'ha mai neanche sfiorato, se non per spogliarlo pazientemente e accarezzargli l'interno di una coscia. Eppure nonostante Satoru avesse visto milioni di volte i pantaloni da adulto del suo 'insegnante' gonfiarsi, non è mai stato violato.
Ogni volta è così- esce da casa propria con un sorriso e una promessa di tornare prima che diventi buio, e si rabbuia subito dopo camminando al freddo per arrivare a quella casa dall'aspetto così consueto, con le luci morbide accese all'interno, tende bianche e fiori sempre vivi che fanno capolino dal salotto. Ogni volta preme il pulsante del campanello che torreggia su di lui come se tutto di Yashiro dovesse per forza farsi beffe di lui, e poi la porta si apre. Ogni volta Yashiro lo guarda dall'alto al basso, le sue labbra si piegano appena per la soddisfazione, i suoi occhi si incupiscono e con un passo indietro fa spazio a Satoru per lasciarlo entrare.
Ed ogni volta i loro incontri iniziano normalmente, con Yashiro che fa conversazione fluida e amichevole, che sorride in quel modo affabile che ricorda sempre a Satoru (nonostante tutto) una figura che non c'è mai stata, una figura che Yashiro interpreta così bene. E Satoru lo sa, che Yashiro non può e non deve essere considerato qualcuno di lontanamente simile ad un padre.
Ma a volte non ce la fa, a non sperarci, a non guardarlo con il cuore che si stringe perché no, lui un padre non ce l'ha, il suo se n'è andato senza mai guardarsi indietro, e Satoru per un po' è stato un appiglio, è stato qualcosa di importante, l'ha guidato e supportato e l'ha guardato con un amore terribilmente puro, qualche volta. La cosa più patetica, probabilmente, è che solo quello bastava.
Però adesso, mentre gli occhi di Yashiro diventano ancora più scuri e la sua espressione si addolcisce- mentre si siede sui talloni e arruffa i suoi capelli, non ce la fa a trattenere una espressione di disgusto, la solita, ricordando il modo in cui guardava Yashiro. Con ammirazione, con la guardia completamente abbassata, forse - forse - con affetto.
"Satoru, puoi toglierti il giubbotto."
Ha smesso di provarci, a rispondere di no, che tanto deve tornare a casa presto: non è mai servito. Yashiro non ha mai dovuto costringerlo, gli è bastato ricordargli che lui è quello che potrebbe uccidere Hiromi, Kayo, forse anche Kenya. E questa volta, come le altre, Satoru abbassa lo sguardo, rabbrividendo mentre toglie il giubbotto spesso e sente la mano di Yashiro sulla sua testa.
"Bravo. Vuoi qualcosa da bere?"
Satoru scuote la testa - perdere tempo è inutile, dopo tante volte in cui ha provato ad attuare diversi piani per manipolare Yashiro si è sempre ritrovato al punto di partenza come se fosse un gioco dell'oca. Perché Yashiro è sempre un passo davanti a lui.
"No," reitera, prima di abbassarsi i pantaloncini. "Tanto lo so cos'è che vuoi."
Un breve silenzio lo fa raggelare, per qualche motivo, ma poi la voce come sempre melliflua (beffarda) di Yashiro riprende, "okay-dokay".
"Satoru."
Lo sente sussurrare, a pochi centimetri dal suo viso, e anche se ha gli occhi chiusi lo sente, il suo sguardo, che lo esamina dalla testa ai piedi e si mischia al battito del proprio cuore. Tutto il corpo di Satoru sembrerebbe una cassa di risonanza, perché è ovunque. Nelle orecchie, tump-tump. Nei polsi, tump-tump. Nella gola, nello stomaco, e anche nel suo piccolo sesso che non dovrebbe ritrovarsi teso ed eretto sotto lo sguardo pieno di malizia di Yashiro.
"Satoru, guardami."
Un sospiro spezzato gli sale su per la gola, e Satoru stringe i denti forte finché non gli fanno male.
Farsi umiliare in cambio del salvare la vita a Kayo e Kenya e tutti gli altri bambini che sono bambini per davvero... l'umiliazione profonda non è mai troppa da fargli smettere di venire qui e stendersi nudo, vulnerabile, sotto lo sguardo e la voce suadente e gli occhi affamati di Yashiro. A volte è come se fosse bloccato in continue narrazioni di una storia in loop, in una versione moderna e diversa di Cappuccetto Rosso, dove lui è Cappuccetto e Yashiro il lupo che vede attraverso di lui e sa più che bene come giocarsi tutti i loro incontri, tutte le loro conversazioni. Solo che Satoru conosce le sue battute a memoria, e sa che non può cambiarle: c'è troppo in gioco.
E quindi lascia che lo sguardo di Yashiro bruci sulla sua pelle, che le sue guance diventino calde e rosse; lascia che il suo corpo si tenda e che reagisca come sempre, con una eccitazione che sa di amaro e che lo lascia sempre frustrato, che lo sbilancia e lo fa piangere ogni volta che torna a casa, pur consapevole che Yashiro lo sa, quanto la cosa lo umili. È per questo che lo fa. Sa che da qualche parte in fondo alla mente di Satoru, è amato, anche se Satoru ci prova a cambiarla, eppure si torna sempre lì. Allo sguardo che Yashiro aveva finto per nascondersi dal sospetto del paesino. Forse anche per attirare Satoru dalla sua parte, nella sua ragnatela, per allontanare la minaccia più grave da sé. E ora ce l'ha sul materasso, nudo, impossibilitato a fare qualsiasi cosa, intrappolato in un ciclo continuo di umiliazione e rossore e respiri sottili e dita piccole strette forte per sopportare il peso di questa situazione.
"Satoru, lo sai che io e te siamo legati, lo sai che lo saremo molto a lungo," Yashiro gli ricorda, prima che Satoru chiuda la porta dietro di sé con un rumore secco e frustrato.
Stringe i denti, avvolto dal suo giubbotto soffice e caldo e di nuovo rivestito, ficcando i pugni in tasca mentre trotterella di nuovo verso casa, e un paio di lacrime punzecchiano gli angoli dei suoi occhi.
È questo il problema, ed è questa l'umiliazione più profonda: Yashiro ha ragione, Yashiro ci ha visto giusto ancora una volta.
 
 
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