Titolo: A volte andarsene è l'unica risposta
Fandom: Originale
Personaggi: tutti OC
Genere: angst, malinconico, un po' fluff
Avvertimenti: gen, personaggio a-spec
Parole: 2814
Note: questa è per il prompt "attenzione: fragile" ricevuto con la cheesecake alla fragola, per la mini-challenge "Pasticceria del Buonumore" della Notte Bianca :3

Fandom: Originale
Personaggi: tutti OC
Genere: angst, malinconico, un po' fluff
Avvertimenti: gen, personaggio a-spec
Parole: 2814
Note: questa è per il prompt "attenzione: fragile" ricevuto con la cheesecake alla fragola, per la mini-challenge "Pasticceria del Buonumore" della Notte Bianca :3

Okay, forse l’hanno dimenticato. Ma l’ipotesi più credibile è che lo facciano apposta.
Stringe i denti, Claudia, con le dita attorno al coltello che per un momento prende una posizione sospetta, pericolosa. Invece poi affonda la lama nella salsiccia, dicendosi di resistere, prima di ficcare un pezzo di carne saporita e deliziosa in bocca. Perché doveva uscire proprio il matrimonio come tema? Era andato tutto bene, gli argomenti erano stati vari e non avevano toccato la zona dei fidanzati e delle fidanzate per un’oretta. Ma forse aveva fatto male, a sperare che per una volta non se ne sarebbe parlato, convergendo su di lei.
La zia Tina distoglie lo sguardo, e finalmente guarda la mamma. La zia Tina è esattamente il tipo di persona che prenderebbe il proprio nome di battesimo e insisterebbe di farsi chiamare con un diminutivo. Tinetta. Perché è più carino, dice sempre, e lei vuole essere carina.
“Cla’? Che ci fai qua?” Le dice tre ore dopo, vedendola sulla porta dell’appartamento con le chiavi in mano, e lei gli lancia uno sguardo addosso, e poi guarda dentro. È un posto piccolo, forse neanche adatto a due persone, ma un po’ le mancava già il suono monotono del frigorifero in funzione, le mancava il divano-letto preso da Ikea, quello che occupa metà stanza da solo e le è costato un mese di paga del part-time, ma ne è valso la pena. Le mancavano gli abbracci di Gian, grosso il doppio di lei, che la stringe subito quando capisce che qualcosa, palesemente, non va.
Claudia sbuffa, con la voglia di uscire pari alla voglia di andare ad un appuntamento a chiaro di candela in un ristorante costoso, ma dopo qualche manciata di secondi sfila il telefono dalla tasca per collegarlo all’alimentazione attaccata convenientemente al muro proprio accanto al divano.
“Cla’, veramente, ma quando te la trovi ‘na fidanzata? Guarda Giulia, s’è sposata il mese scorso e lei è più piccola di te. Di cinque anni!”
“Mamma, lasciami stare,” dice lei finalmente, suonando per un attimo come il suo sé del passato, di quando andava al liceo con la camicia di flanella e tutto quello che voleva era starsene in un angolo a giocare col Game Boy e mangiarsi il suo panino al prosciutto. Diceva proprio così, e l’argomento era sempre lo stesso.
“Ma l’hai visto come ti guarda, Gianluigi? Esce pazzo per te! Dai, piglialo finché si interessa, sennò così non ti fidanzerai mai.” La mamma continuava a dirglielo, quasi a ogni pranzo, suonando sempre più ossessiva. E lei le aveva detto mille volte no. Oh, sì, ci aveva provato un paio di volte, ma ogni volta sembrava di sentirsi dieci coltelli puntati alla gola. Prima di uscire, quelle che gli altri chiamavano “farfalle nello stomaco” per lei erano contrazioni dolorose, e tutti i suoi pensieri erano pieni di voglia di scappare. Ed ogni pensiero, durante quel tipo di uscite, era di terrore. Che Gian la scoprisse, o che la baciasse, o che si avvicinasse troppo. No. Gli vuole bene, ma quando lui ci provò, una volta, a spingerla contro il muro di casa sua e a baciarla, Claudia non ce la fece a lasciarsi fare. Pareva di soffocare, quindi lo spinse via… senza neanche troppa delicatezza.
Non gli interessava, a Claudia, di fidanzarsi. Qualche volta ci pensava all’abituarsi, al fingere, e poi al matrimonio. Immaginava la mamma in prima fila che agitava le mani con le lacrime agli occhi, e ogni volta le pareva di stare male.
Le vuole bene, certo. Le ha sempre voluto troppo bene, tanto da non poter pensare al fatto che prima o poi anche lei dovrà morire. Ogni volta il pensiero le toglie il respiro, la lascia senza appetito per tutto il giorno, la spinge ad abbracciarla troppo forte, e lei ride tutta imbarazzata per via di una ragazza ventottenne che ancora abbraccia la sua mamma.
Forse nemmeno lei è pronta a lasciarla andare. Figlia, sangue del suo sangue, la prima e unica bambino che abbia mai avuto. E sì, sposarsi comporterebbe vederla andare via. Claudia non lo sa, allora, perché lei insista tanto. E meno male che dopo essersi trasferita a Torino la famiglia non la vede più, o forse è per questo che ora sembra voler uccidere qualcosa. Non può abituarsi al senso di inadeguatezza se spende così tanto tempo lontana da casa. A Torino nessuno le fa pressioni perché si trovi un fidanzato. O una fidanzata. A Torino non gliene frega niente a nessuno. E i suoi amici sembrano capire, a Torino.
Non sa nemmeno perché proprio adesso senta il controllo refluire dalle braccia, dai pensieri, e perché qualcos’altro stia prendendo il controllo.
“Cazzo, mollami, ma’. Pensa al tuo matrimonio e non rompere i coglioni.”
Un lungo sussulto attraversa la tavolata subito, come un’onda, quando tutti i parenti la fissano come se avesse cambiato personalità all’improvviso. Loro non lo sanno, o sperano che lei la smetta di fare i capricci, come li chiamano loro quando pensano che lei non li senta.
“Ma quindi sei lesbica?” Lo Zio Nicola chiede, alzando entrambe le sopracciglia con gli occhi già pieni di giudizi. “Non c’è niente di male eh, è solo che, insomma-”
Claudia si alza in piedi, sentendo la pressione degli sguardi di tutti. Come se dalla sedia siano appena cresciuti spuntoni. Pare una forza fisica, capace di spingerla via da tutti, mandandola a spintoni via dal tavolo ancora pieno di cibo.
“No, non sono lesbica, Nicola. E tu fatti i cazzi tuoi, e magari se smetti di andare dietro alle quindicenni una fidanzata della tua età te la trovi pure tu.” Non lo sa da dove esce questa… cosa, ma subito dopo averlo detto tutti i muscoli si irrigidiscono e gli occhi le si allargano per la sorpresa. No, quello non lo doveva dire. È vero, ma non avrebbe dovuto dirlo, non qui, non a Natale.
Le bocche di tutti si spalancano e c’è chi si mette a fissare lo zio Nicola con aria sconvolta, e zio Nicola la fissa diventando tutto rosso forse per l’implicazione o forse per la sorpresa, ma tutti gli altri continuano a fissare Claudia, troppo scioccati per dire qualsiasi cosa.
E poi c’è la mamma. La mamma che la fissa con una furia fredda e con dolore improvviso negli occhi, la mamma che pare un’altra persona come quando cacciò via il papà. Claudia non lo ricorda, perché sia accaduto, ricorda solo di essere rimasta di stucco, e di averla odiata. Non ne capiva bene nemmeno il motivo, del divorzio, ma ricorda benissimo il senso di furore e impotenza che le era passato sotto la pelle, dentro alle ossa, fino all’ultimo neurone. Lo stesso senso che la stringe ora.
Ora se lo ricorda, di non essere altro che una scatola piena di cose sparse con sopra il solito timbro che dice “ATTENZIONE: FRAGILE“.
E mamma lo sa. Non ha nemmeno bisogno di parlare, le basta guardare Claudia con tutte quelle conversazioni fra loro, quelle sul passato, quelle sul papà. Ricordandole di quando la mamma le stava facendo le trecce, e le spiegava il perché del divorzio. Che aveva aspettato fino al momento in cui Claudia sarebbe stata grande, così che potesse capire. Che però ora, senza papà in giro, stare a casa pareva così strano. E l’aveva sentita piangere, mamma, quando forse credeva che Claudia stesse già dormendo.
E mamma lo sa. Non ha nemmeno bisogno di parlare, le basta guardare Claudia con tutte quelle conversazioni fra loro, quelle sul passato, quelle sul papà. Ricordandole di quando la mamma le stava facendo le trecce, e le spiegava il perché del divorzio. Che aveva aspettato fino al momento in cui Claudia sarebbe stata grande, così che potesse capire. Che però ora, senza papà in giro, stare a casa pareva così strano. E l’aveva sentita piangere, mamma, quando forse credeva che Claudia stesse già dormendo.
Non credeva che mamma fosse ancora innamorata del papà. Forse le faceva male essere sola a crescere una ragazzina, le mancava la presenza di qualcuno, qualcuno a cui dire “ciao” una volta tornata dal part-time. Forse, con la partenza di Claudia per Torino e con la vecchiaia all’orizzonte, mamma non aveva avuto altra scelta che affrontare il mondo da sola, un mondo che le diceva che divorziare era per deboli. Avrebbero dovuto vedere i lividi sulle sue braccia, ascoltare quello che il papà le diceva quando era arrabbiato. Forse avrebbero cambiato idea, ma mamma non era mai stata il tipo di persona da lamentarsi.
“Non voglio il fidanzato, o la fidanzata. Non voglio niente, non voglio nessuno, voglio solo che mi lasci in pace, ma’.”
La zia Tina distoglie lo sguardo, e finalmente guarda la mamma. La zia Tina è esattamente il tipo di persona che prenderebbe il proprio nome di battesimo e insisterebbe di farsi chiamare con un diminutivo. Tinetta. Perché è più carino, dice sempre, e lei vuole essere carina.
“Beh, mi pare giusto. Voglio dire, se non le interessa perché insistere?” Dice con la sua voce sottile e dolce, mettendo una mano su quella della mamma. Una mano grande quasi il doppio.
“No, perché non è così che funziona. Lei vuole solo fare la vita da gattara tutta comoda e egoista, ma la vita non è così, la vita è dura.”
“Beh, magari…” Tinetta ci riprova. Claudia vorrebbe ringraziarla, ora, ma non c’è qualcosa che lei o Claudia possano dire, per mettere la mamma in pace. Non si può cancellare una vita di convinzioni con una discussione. Ma questo non vuol dire che non le butterà in faccia tutto il veleno che ha dentro, prima di prendere il treno e scappare a Torino, come la vigliacca che in fondo è.
“Magari riprovaci tu, a sposarti. Mi pare che la prima volta ti sia andata veramente di merda, ma chissà, forse la seconda volta ti andrà pure peggio e la vita sarà finalmente dura abbastanza.”
Si volta subito, non si ferma nemmeno a guardare i parenti. E meno male che non si è portata dietro niente da Torino, che tanto le sue cose sono tutte lì. Corre solo di sopra, a prendere la borsetta e il sacchetto col regalo di Natale per la mamma, e tornando giù lo lascia sul tavolo dov’era seduta prima quando il brusio sconvolto dei parenti deve ancora chetarsi.
Lancia ancora uno sguardo a mamma, che la fissa con l’espressione vuota sua, forse quella che ha sempre tentato di nascondere dietro tutti i sorrisi, un’espressione che non le ha mai visto in viso. Ci è voluta solo qualche parola, per rompere qualcosa fra loro? Mamma sembrava sempre così robusta e titanica. Una presa gelida sembra stringersi attorno al collo di Claudia, prima che riesca ad aprire la porta sgambettando via come quando aveva tentato di scappare di casa e tornare da papà. Non che il papà l’avesse mai trattata così bene. Ma era successo tutto troppo all’improvviso, e nessuno le aveva detto niente.
Meno male che Gian abita a Torino pure lui. Anzi, sarebbe più esatto dire che si sono trasferiti a Torino assieme. Sono pure coinquilini. E Gian è l’unica persona che adesso potrebbe non sputarle veleno addosso.
“Cla’? Che ci fai qua?” Le dice tre ore dopo, vedendola sulla porta dell’appartamento con le chiavi in mano, e lei gli lancia uno sguardo addosso, e poi guarda dentro. È un posto piccolo, forse neanche adatto a due persone, ma un po’ le mancava già il suono monotono del frigorifero in funzione, le mancava il divano-letto preso da Ikea, quello che occupa metà stanza da solo e le è costato un mese di paga del part-time, ma ne è valso la pena. Le mancavano gli abbracci di Gian, grosso il doppio di lei, che la stringe subito quando capisce che qualcosa, palesemente, non va.
“Litigato con mamma?” Le chiede, e poi le molla qualche pacca leggera sulla schiena.
“Come hai fatto a indovinare?” Lei risponde, un po’ sollevata dal non doverglielo spiegare. E dalla stretta confortante del suo migliore amico.
“Tesoro, vivo con te. Ormai leggerti nel pensiero è naturale.” Gian alza un angolo della bocca, e le bacia la fronte. “Vuoi che andiamo da qualche parte? Tipo c’è la mostra di Gauguin a Palazzo Chiablese.”
Gauguin è bellissimo. Ha colori che Claudia invidia. Quando studiava storia dell’arte al liceo, guardava sempre i suoi dipinti con un sacco di voglia di tuffarcisi dentro. Ma lei scuote la testa, prima di appollaiarsi sul divano-letto con un sospiro.
“Non ho voglia. Voglio stare a casa,” dice poi, col viaggio in treno che le pesa addosso all’improvviso. Con lo sguardo di mamma che pare averla seguita fino a qui. “Voglio essere normale.”
“Amore…” Gian sospira, e poi le si siede accanto, novantacinque chili di peso morbido dentro e fuori, poi finalmente la abbraccia ancora tirandosela addosso. E per quanto possa stare male, al momento, Claudia lo sa, di essere fortunata. La mamma non ce l’ha, a casa, qualcuno come Gian che l’abbracci solo per dare calore, senza chiedere prestazioni o favori in cambio.
“Gian, la mamma ha tirato fuori quella volta in cui siamo usciti assieme,” Claudia riferisce, con un piccolo sorriso che comunque le appare sulle labbra. Gianluigi scoppia in una risata breve, col ricordo che pare materializzarsi davanti a loro come quando vanno al cinema.
“Ah sì. Quando ancora pensavo mi sarebbe piaciuta la figa se ci provavo abbastanza.”
“A me ha fatto schifo,” Claudia dice in modo completamente gratuito, ma si stringe più vicina a lui. Sa che non avrà una reazione offesa.
“Vabbè, non è che me lo devi dire ogni volta che ne parliamo, eh,” lui le risponde con una smorfia.
“Però dopo ti ho sempre voluto ancora più bene,” Claudia gli ricorda subito dopo, e gli preme un bacio sul collo. È una cosa che le piace fare: quella porzione del corpo di Gian è così calda e morbida, anche quando c’è la barba come ora.
Gianluigi è un bel ragazzo, tutto sommato. Un po’ grasso e pesante, sì, ma bello e morbido. Ha gli occhi verdi – la sfumatura preferita di Claudia – e il viso abbastanza ovale che il manbun gli sta bene anche se è una acconciatura da fighetti palestrati e truccati. E ha anche un po’ di barba, ovviamente, e gli sta pure bene. A volte le lascia anche fargli le treccine, come se fosse una bambina e lui il gigante buono. A volte lei gli dice che è troppo buono, ma lui risponde che non ce la fa, ad essere stronzo di proposito.
“Non è che le lodi ti faranno perdonare,” le dice lui, passando le dita fra i suoi capelli lisci e tinti di rosso.
“Tanto lo so che mi hai già perdonata,” Claudia risponde, e le pare magia il modo in cui Gianluigi che la tocca riesca a farle passare qualsiasi brutto pensiero. Quasi subito.
“Sono stanca,” dice però, e sospira stropicciandosi gli occhi. “Avrò fatto una scenata e sarò esagerata, ma non potevo fisicamente restare lì.”
“Se anni fa i miei mi avessero detto che non potevo passare la Vigilia con Giovanni perché è roba da culattoni me ne sarei tornato qui pure io,” Gian risponde, scrollando le spalle. “Però almeno non mi rompono i coglioni, esco con Gio’, me lo chiavo e sono contento, e a loro evidentemente va bene così.”
I genitori di Gian si sono trasferiti anche loro a Torino poco fa, visto che il padre ora insegna all’Università, ma perlomeno abitano dall’altra parte della città. E Claudia ha sempre belle conversazioni con la signora Giordano. La mamma la chiama sempre “Comunista”. Forse è per questo che Claudia ci ha passato così tanto tempo assieme.
A guardarlo e conoscerlo, Gian pare veramente uscito da un universo diverso e lontanissimo. Ha il suo bagaglio anche lui, ma la maggior parte del tempo non sembra così.
“Mi rompe le palle essere così debole,” Claudia dice, con qualcosa che le blocca la gola e le preme sul petto.
“Cla’, e mo’ basta, non sei debole. C’hai solo una famiglia un po’ disfunzionale e sei nata a-romantica, ma non è mica colpa tua.”
“Chiamalo poco. Essere così a casa mia è peggio di essere disabile. Almeno mia mamma ci arriva che i disabili non lo fanno apposta.”
“Ma tu mica sei disabile.” Gian glielo ricorda spesso, che Claudia va bene così. Deve solo convincersene lei.
“Sì, lo so,” lei risponde con la mano che sventola via le parole. “Sono solo nata sbagliata.”
Il lungo sospiro di Gian le vibra contro il petto, e le sue braccia le si stringono attorno per l’impazienza. L’ha sentita piangersi addosso abbastanza per una settimana, adesso.
“Sì ma mo’ smettila eh. Dai cazzo, andiamo a ‘sto museo e prendiamoci ‘sto bubble tea.”
Claudia sbuffa, con la voglia di uscire pari alla voglia di andare ad un appuntamento a chiaro di candela in un ristorante costoso, ma dopo qualche manciata di secondi sfila il telefono dalla tasca per collegarlo all’alimentazione attaccata convenientemente al muro proprio accanto al divano.
Le capita di leggere un nuovo messaggio dello zio Nicola: “Hai fatto la tua scenata per far piangere tua madre, brava! Mi raccomando, continua a…”
“Mavvaffanculo,” Claudia borbotta col senso di nausea che comincia a salire, ma lascia il cellulare a riposare sul divano mentre si gratta la testa. Gian la osserva mentre si imbacucca nel suo Woolrich tarocco, e alza un sopracciglio.
“Cla’, dài,” le dice, avvicinandosi.
“Ma non c’ho voglia,” lei risponde, e guarda verso la tv spenta con mezza idea di accenderla, guardarsi l’ennesima replica di Mamma, Ho Perso l’Aereo e buttarsi addosso una coperta.
“Col cazzo, non c’ho voglia io di passarmi la serata qua dentro. Andiamo fuori, ci facciamo un aperitivo e magari un po’ di sushi e dopo andiamo da madre.”
“Scusa ma non c’ho palle di vedere ancora madri oggi.”
Gian sbuffa, e la prende per il braccio.
“Ma se adori mia madre. Dai, domani possiamo stare a casa, ma oggi è Natale!”
“Gian, davvero, il Natale quest’anno è finito prima di pranzo per me, e non mi va di fare finta che vada tutto bene solo perché ci sono le lucette di merda per strada.”
“Ma dai, adesso sei con me, non pensare a tua madre. Magari dopo il bubble tea andiamo in discoteca. Ci facciamo ‘sti due drink, balliamo un po’ e poi torniamo a casa a guardarci un horror.”
La proposta pare molto più indecente e allettante di quanto previsto. Claudia lo guarda da sotto gli occhiali ancora tutti appannati, e sospira prima di alzarsi e seguire Gian fuori dalla porta, pronta a perdersi nel calore dei rossi e dei gialli.
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